Un ciclo di racconti che svela le degenerazioni del potere attraverso biografie immaginarie più vere della realtà. Non per vendicare: per comprendere, esorcizzare, rovesciare. Il potere non è mai neutro. Ma le parole possono smontarlo da dentro.
Episodio I — Figlio dell’Errore 📓 Appunti per una storia clinica del privilegio maschile
Leonel
Leonel nacque sotto i riflettori, ma nessuno guardava davvero. Figlio del CEO di una celebre casa automobilistica e di una socialite impastata di fondazioni culturali e collagene, non somigliava a nessuno dei due. Era troppo alto, troppo pallido, troppo altrove. Le cameriere mormoravano che fosse stato “acquisito” a Zurigo, dove sua madre era sparita nove mesi “per un restauro d’anima”. Nessuno aveva mai visto le foto della gravidanza.
Cresciuto tra Dallas, cristalli di Murano e silenzi insonorizzati, Leonel non sviluppò una personalità: sviluppò una assenza perfetta. Un silenzio tossico, saturo di risate soffocate, etichette cliniche non pronunciate e versioni ufficiali. Ogni gesto su di lui diventava trauma a rilascio lento.
Il fratello maggiore, Sam, era il figlio perfetto. Capelli castani e radi ma le piccole mani sulle redini dell’azienda e una naturalezza fastidiosa nel ricevere lodi. Sam era “un Draxler in tutto e per tutto”. Leonel, invece, un’interferenza narrativa. Cresceva come una virgola dimenticata in una genealogia di punti esclamativi.
A dodici anni aveva già compreso che l’affetto era razionato. A diciotto, che il potere era l’adulto triste dell’amore non corrisposto.
Le sue relazioni? Fallimenti coreografici. Cercava obbedienza e trovava identità. Voleva sguardi svuotati, incontrava sfrontatezza. Iniziò ad odiare nei sorrisi ciò che non poteva replicare in laboratorio.
Era malato, deviato e programmato al contrario. Una macchina relazionale che archivia le carezze come spyware e processa l’intimità come minaccia informatica. Tra lavoro e sport, praticati entrambi con costanza maniacale, si concedeva un solo hobby: individuare e distruggere le donne nelle quali intravedeva anche solo un briciolo di spirito vitale.
Ogni volta che ne incontrava una, iniziava la muta persecuzione. Le monitorava, ne pilotava i contesti.
Se aveva potere su un teatro, su un’azienda, su una redazione: la faceva escludere.
Se non lo aveva, lo cercava. E lo comprava.
Con il tempo, sviluppò anche i cosiddetti protocolli, copioni veri e propri portati in scena per smantellare le donne:
- Indurle a indebitarsi con un’opportunità truccata;
- Indurle a intossicarsi con droghe, alcol, o psicofarmaci;
- Calunniarle socialmente fino a farle sembrare pazze, tossiche, inaffidabili
E quando loro crollavano, lui si ripeteva mentalmente:
“Vedi? Avevo ragione. Sono tutte così. Ha fatto bene a farla finita, perché vivere con quella reputazione…”
Tutto sembrava funzionare. Finché non arrivò Gabriella.
Ma quella è un’altra storia. E sarà raccontata.