Un ciclo di racconti che svela le degenerazioni del potere attraverso biografie immaginarie più vere della realtà. Non per vendicare: per comprendere, esorcizzare, rovesciare. Il potere non è mai neutro. Ma le parole possono smontarlo da dentro.
Episodio II — Com’era bella Gabriella 📓 Appunti per una storia clinica del privilegio maschile
Com’era bella Gabriella
Gabriella non era brava in nulla.
Non era nemmeno particolarmente bella, anche se aveva una classe innata.
Il suo carattere? Completamente da rivedere. Ormai sulla trentina, sarebbe stata definita da alcuni, anzi, da molti, una testa calda, poco incline a dire sì alle richieste maschili, spesso insidiose. Aveva studiato molto e parlava quattro lingue. Eppure non era brava in nulla, o almeno così diceva. Amava molto lavorare e parlare del suo lavoro, il che la rendeva un’apprezzata ospite a tavola.
I suoi talenti venivano in particolar modo ricercati dagli uomini che non volevano fare brutta figura alle conviviali con gli amici facendosi accompagnare da una +1 troppo ignorante.
Gabriella non era sentimentale. Aveva appena chiuso una relazione burrascosa. Lui l’aveva tradita. Per due anni sembrava che l’universo, e a dire la verità anche il marketing, non le ricordasse altro.
Tutto girava attorno al suo ex. Come se lui fosse il distillato di tutte le cattive abitudini di Gabriella. L’universo, specialmente quello digitale, sembrava mettere in pausa la tortura, per lasciarla in pace, solo quando Gabriella si comportava a modo, sottomessa e relegata in un angolo. Come l’avrebbero voluta e come è giusto che sia nel 2025 per una in età da marito.
Una donna, per crescere, deve saper abbracciare il regresso.
Il condizionamento o lavaggio del cervello o programma, insomma, qualsiasi cosa fosse, sembrava funzionare.
Gabriella cominciava quasi a crederci, all’amore. Le sembrava persino la notte di sentire voci provenire dal piano superiore al suo, e, di giorno, vedere serene farfalle volare in pieno centro a Milano.
Forse, se si fosse comportata finalmente bene, superando tutti i test del percorso prenuziale a pieni voti, sarebbe arrivato il ragazzo biondo.
Comportarsi bene significava fare delle cose strane come fingere di non saper guidare auto più grandi di una Fiat 500, dissimulare ostentata ebbrezza dopo mezzo dito di vino e quindi categoricamente rifiutare ogni offerta di alcolici, curare molto i capelli e chiudere un occhio se il tecnico della caldaia o il muratore siciliano le facevano un prezzo gonfiato non in linea con le riparazioni effettuate.
Non sapete quante volte si trovava a riformulare le spese sul suo foglio excel cercando di giustificare i rincari!
Ormai aveva un prontuario di shorcut da tastiera di formule pronte per nascondere i sovrapprezzi degli altri.
Gabriella, con questi assolutamente naturali e fisiologici accorgimenti, si sentiva già più educata, già più inglese, già più vicina al suo Vero Sé.
Addentriamoci però più nel vivo del biondo. Chi era il principe ad aspettarla?
Chi era quell’uomo affascinante, meta del suo percorso?
Mi spiace deludere chi di voi crede ancora alle favole: l’uomo biondo era un mostro. Non per l’aspetto, ma gli armoniosi tratti erano stati induriti dalla cattiveria e lo rendevano d’aspetto satanico. Disgustosamente orrendo.
Insomma, un ragazzo poi diventato uomo, nutrito dal patriarcato, educato dalle banche e viziato dall’intelligence statunitense.
Tutti i “no” che venivano dati a Gabriella, per lui diventavano automaticamente “sì”.
Riceveva sempre e solo “sì”.
Più si comportava male, più “sì” riceveva.
Gabriella, forse in un altro mondo, forse in un’altra vita, sarebbe potuta diventare miliardaria anche da sola, sostenuta dai suoi sforzi e dai suoi impegni.
Ma l’universo aveva altri piani per lei.
Piani innovativi? Forse no.
Perché d’altronde lasciare una via percorsa per così tanti secoli se ritenuta sicura?
Gabriella era bella. E vi assicuro, lo è ancora, anche affianco al mostro.
E sente ancora le voci, nonostante al piano di sopra della loro villa californiana ora non ci sia davvero più nessuno.