L’amante di Naso a Patata

🎭 Biancaneve nella mafia
Episodio – L’amante di Naso a Patata

Il proprietario dello scantinato di Via Mascheroni, lo stesso dove si architettavano le evasioni e si consumavano gli incontri, era il cognato della madrina.

Si chiamava Cazzacorta di cognome, ma nessuno lo chiamava così. Per tutti era semplicemente Naso a Patata, e bastava.

Era amico intimo dei Pomì, presenza fissa alle loro cene, ai loro brindisi, alle loro strategie di condominio e di fondazione.

Nonostante l’aspetto buffo, il naso prominente e il modo di camminare che sembrava sempre sul punto di inciampare, si era guadagnato rispetto.

Non per meriti accademici, né per imprese imprenditoriali, ma per tutte le cene che aveva offerto in giro.
Cene generose, ben impiattate, servite nei momenti giusti, a persone giuste.

Era il tipo che non brillava, ma che pagava il conto. E in certi ambienti, quello basta.

La sua vita domestica era gestita da una moglie, pardon, mogghie, siciliana, muta e tradizionalista, cresciuta in un sistema dove l’onore si custodisce come si custodisce una reliquia: non si discute, si protegge, si occulta.
Lei sapeva tutto, o almeno tutto quello che serviva sapere per non far crollare la facciata.
Quando trovava tracce, ricevute, profumi, capelli lunghi su giacche corte, li faceva sparire.
Non per amore, ma per dovere di ruolo.
Le figlie, cresciute in quella coreografia di omissioni, avevano ereditato lo stesso naso a patata, come una firma genetica e una condanna simbolica.

Negli anni, Cazzacorta aveva collezionato assistenti alla cattedra come si collezionano bottiglie di vino: etichette rare, corpi discreti, presenze funzionali.

Ma da un po’ di tempo, senza annunciarlo a nessuno, aveva cambiato registro.
Aveva smesso di cercare donne da esposizione e aveva cominciato a prediligere gli uomini, in particolare quelli giovani, silenziosi, affamati, disposti a tutto pur di restare nella stanza.

Tra tutti, uno spiccava: Francesco. E lo scantinato, lo stesso dove si firmavano le carte dell’evasione, era diventato il teatro muto dei loro incontri.

🎓 Scena: Dopo la lezione

Interno scantinato. Luci basse. Odore di muffa e carta umida. Una sedia, un tavolo, una bottiglia mezza piena. Naso a Patata è già lì. Francesco entra, con lo zaino ancora in spalla.

Naso a Patata (chiudendo un registro, senza alzare lo sguardo)
Hai preso appunti, oggi?

Francesco (sottovoce)
Non ce n’era bisogno.

Naso a Patata (sorride appena)
Già. Tu ascolti. E ricordi.

Silenzio. Francesco si avvicina al tavolo. Appoggia lo zaino. I due restano in piedi, uno di fronte all’altro. Naso a Patata allunga una mano, come per prendere un foglio, ma sfiora invece la mano di Francesco. Un gesto minimo, quasi impercettibile, ma deliberato.

Francesco (immobile)
La lezione è finita?

Naso a Patata (guardandolo)
Quella ufficiale, sì. Quella vera… comincia adesso.

Le mani restano vicine. Si sfiorano di nuovo. Nessuno si tira indietro. Le pareti dello scantinato, impregnate di silenzi e complicità, sembrano trattenere il fiato.

Dissolvenza al nero.

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